Questo post per gli amici che evidentemente ignorano l’evoluzione della comunicazione e della tecnologia e per cercare dichiarazioni vanno a caccia su blog non aggiornati da millenni, presenti invece da ore sui social. Per fugare ogni dubbio, quindi, ecco qui.
Un anno fa una giornalista di Mediaset non meglio identificata contatta il mio agente per chiedergli se può farmi un’intervista sul sessismo nel mondo editoriale. Chiedo qual è la testata: Striscia la Notizia. Rifiuto garbatamente. Mesi più tardi, al termine di una mia presentazione al Salone del libro, vengo avvicinata da una troupe televisiva che mi chiede un’intervista. Non ho nulla in contrario, sono lì per promuovere il mio libro. La prima domanda che mi viene posta è se penso che nell’editoria ci sia sessismo: certo, dico, come in tutti i campi. E lei si è mai sentita discriminata? Chiede la giornalista. No, io non mi sono mai sentita discriminata perché ho sempre fatto quel che ho voluto e non ho ricevuto veti di nessun tipo. Neanche quando Nicola Lagioia le ha rivolto quella frase sessista vent’anni fa? Incalza lei. A quel punto chiedo con chi sto parlando, perché sento puzza di zolfo. Era Striscia la Notizia. Mi arrabbio furiosamente, perché io avevo rifiutato di parlare con quella testata. Mi scanso, dico che non voglio andare oltre e loro insistono, nel modo che tutti conosciamo: un agguato, bello e buono. Mi inseguono e mi braccano, una cosa violenta tanto quanto una battuta sessista. Ripeto loro che non mi pare il caso di parlare di sessismo con una trasmissione che ne è l’emblema, e scappo. Dopo essere fuggita da questa cosa orrenda, capisco cosa succederà: tutto verrà usato contro di me (oltre che contro Nicola, è chiaro, che cercano di colpire persino da un sondaggio farlocco). Diranno che non voglio parlare perché non voglio espormi, perché di mezzo c’è il direttore del Salone e perché sono sua amica e amica della moglie Chiara, con cui ho pure scritto un podcast. Lo so che lo faranno, perché quando cresci a pane e pop sai come funziona. Ieri hanno mandato in onda quel servizio tenuto nel cassetto per mesi, pronto da sfornare al momento più opportuno e non sapevo che avessero intercettato Chiara Gamberale, Laura Boldrini, Lidia Ravera per chiedere cosa ne pensavano di quella brutta e stupida frase: ovviamente ne pensavano il peggio. Delle mie battute tengono solo quella in cui dico che non mi sono mai sentita discriminata e la giornalista, con la faccia da furba, solletica le menti perverse dei telespettatori: Non ti sei mai sentita discriminata perché guai a pestare i piedi al direttore del Salone del libro e perché hai scritto un podcast con sua moglie? Usano verso di me vocaboli adatti a descrivere un’associazione a delinquere, parlano di omertà, di figuraccia, di opportunismo. Insomma: una violenza. I punti sono due: 1) Io non ho parlato perché non volevo parlare con Striscia. Ci fosse stato qualcun altro al posto loro lo avrei fatto senza problemi 2) che è il punto più importante: dopo quella frase, che ripeto è stata detta venti anni fa, io e Nicola abbiamo passato un anno o al massimo due a bisticciare, e poi a un certo punto abbiamo smesso perché fra le persone succede questo: si dicono sciocchezze, ci si fa anche del male, poi però si chiede scusa, l’altro capisce che le scuse sono sincere e si va avanti, e così io e lui abbiamo un rapporto di amicizia, stima e affetto, che oggi non metto in discussione (e soprattutto oggi, visti i feroci e ignobili attacchi). Mi rendo conto che a uno che scrive “Spero che con i soldi che guadagni ti ci comprerai le medicine” sotto la foto in cui abbraccio mio figlio di due anni questo concetto non riesca a passare, ma io so che è così. Usare il femminismo come arma per colpire è una cosa che solo chi è profondamente misogino può fare. Volete parlare di sessismo? Parliamone. Vengo sotto casa vostra e vi aspetto. Col microfono.