In due anni di pandemia, abbiamo avuto molto tempo per stare comodi nelle nostre tute e nelle nostre case e discutere di suffissi neutri e dichiararci, sempre e comunque, contrari a questo o contrari a quello. Quando siamo annoiati ne diciamo tante e, sebbene dalla noia possano nascere grandi opere, non riusciamo mai a cogliere l’esatta misura del tempo e non riusciamo mai davvero a capire quanto spazio occupi la nostra esistenza in questo mondo. Ma ci sono due momenti in cui la vita chiama a partecipare diventando solo corpo, corpo e basta, rinunciando a tutto ciò che credi, a tutto ciò che pensi, persino ai sentimenti: diventando un animale. Questo, dicevo, accade poche volte nel corso dell’esistenza e non a tutti né a tutte, ma solo a chi vuole e a chi ci capita in mezzo. Il primo è quando metti al mondo un figlio, e intendo dire che lo partorisci; il secondo è quando devi difendere la tua vita e quella di chi ami, e intendo dire andare in battaglia.
La guerra in Ucraina non è la prima a cui assistiamo, ma è la prima che deflagra a un passo da noi, in quel grande paese che è l’Europa, che è casa nostra, i cui i confini degli stati vanno anno dopo anno sempre più assottigliandosi. Quando è cominciata l’invasione russa è stato chiesto agli uomini di non lasciare il paese: le loro braccia, le loro gambe, la loro forza, servono alla guerra. Mentre le donne attraversano frontiere con in braccio bambini e cani e gatti dentro zainetti, gli uomini restano, dai giovanissimi diciottenni con solo tre giorni di addestramento vestiti con gli abiti con cui sono soliti fare skateboard, ginocchiere comprese, agli anziani. Padri che salutano figli e figlie senza sapere se li rivedranno, figli che salutano madri, mariti che salutano mogli. Una guerra del secolo scorso a partire dal modo in cui separa i maschi dalle femmine, una divisione dei sessi che pensavamo non ci appartenesse più e invece ancora è fra noi, rispondendo a dittature biologiche su cui nessuno di noi può nulla. Le donne partoriscono nei rifugi, i neonati non sanno che esiste un mondo sopra di loro, non hanno mai visto i padri che sono nel fuori a combattere. Quando si parla della dittatura sui corpi delle donne, si dice il vero. Ma pochissima letteratura è dedicata alla dittatura sui corpi dei maschi, costretti dalla cultura, dalla storia e dunque dalla consuetudine, ad andare a morire per permettere a qualcun altro di vivere. Non tutti i maschi sono fatti per la guerra, come non tutte le femmine sono fatte per il maquillage, questa è una banalità che però diventa questione spinosissima durante un conflitto, dove a contare è solo il sesso con il quale sei nato o sei nata. Le persone transessuali nate maschi e oggi donne che non hanno ancora i documenti aggiornati e riportano i loro nomi da uomini e il loro sesso biologico, hanno difficoltà a lasciare il paese. Ma di testosterone, ormone fondamentale al funzionamento e allo sviluppo muscolare, ne rimane poco a chi ha fatto una terapia per aumentare gli estrogeni. Di testosterone, invece, doveva averne tantissimo Giovanna D’Arco, che secondo le testimonianze dell’epoca era una donna senza mestruazioni, perciò una donna concepita per la guerra, forte quanto e forse più dei maschi. In un’emergenza simile non si può certo fare affidamento ai dosaggi ormonali per capire chi sia adatto alla guerra e chi no, a prescindere dai loro sessi, si fa affidamento a quello che è riportato sulla carta di identità. Maschio? Combatti. Femmina? Trova salvezza perché dovrai continuare a partorire e a garantire la sopravvivenza della specie. La semplicità in cui le nostre esistenze precipitano quando accade un abominio come quello della guerra, è anacronistica, assurda, ma imprescindibile. Qualcuno si chiede che mondo sarebbe se governato in maggioranza da donne, ci sarebbero guerre? Ci sarebbe violenza? Credo di sì, ma avrebbero un’altra forma. Ci sono state governanti sanguinarie, Elisabetta I ne è un esempio, ma sono state così poche le donne a gestire le sorti dei popoli che non possiamo trarre vere conclusioni. La guerra è criminale per molte ragioni: perché annienta vite umane e perché annienta la libertà di essere. La libertà di essere un uomo che non vuole combattere, e invece è costretto a farlo. La libertà di essere una donna che vorrebbe restare sul campo a difendere la sua casa, e invece è costretta alla fuga.