Periodicamente saranno presentati racconti di scrittori e scrittrici in forma anonima seguiti da un questionario in cui dovrete indicare se secondo voi il racconto è stato scritto da un uomo o da una donna e di che fascia d’età. Potete votare una sola volta esprimendo due preferenze una per il sesso, l’altra per l’età, affidandovi esclusivamente al vostro intuito. L’intenzione di questo gioco è spazzare via ogni pregiudizio, un invito a leggere un testo letterario per quello che è, senza l’ingombro del nome, dell’età e soprattutto del genere sessuale del suo autore, spesso motivo di discriminazione. Al termine della settimana di votazioni verrà rivelato il nome dello scrittore o della scrittrice.
LA BALLATA DEL ROTELLA
Roberto Rotella se ne stava appoggiato a una colonna del grande terrazzo che affacciava sul fiume, intorno a lui la festa impazzava senza tregua: un raduno di psicopatici che di giorno parlavano di Proust e di notte ballavano al ritmo di Roger Sanchez. E fin qui non c’era nessun problema. Rotella non aveva mai sentito un solo disco di Sanchez e Proust lo aveva sempre avuto sui coglioni. Il problema era un altro: si stava cacando terribilmente il cazzo. Quel cocktail che si rigirava tra le mani era diventato caldo come il testicolo di una scimmia, e fare quella fila disumana per prenderne un altro era, francamente, un’ipotesi totalmente fuori dal suo immaginario. Torino, di fronte a lui, si stagliava elegante e silenziosa dall’altra parte del Po, una signora annoiata che guarda la tivù col volume a zero. A quella festa lo aveva trascinato il suo agente, Manlio Uganda della Uganda & Associati, perché, a detta di alcuni sondaggi di suoi stagisti esperti del 2.0, Rotella, nonostante i trentotto anni, non riscuoteva successo nel pubblico più giovane. Dunque, parola d’ordine: svecchiare. Fare qualche intervista in più per mensili come GQ e Rolling Stone, parlare un po’ di pallone alle presentazioni, e non solo della letteratura russa dell’Ottocento, farsi vedere a qualche festa editoriale. Un paio l’anno, non di più. E quest’anno gli era toccata quella della Biblios, la casa editrice romana che pubblicava i saggi d’avanguardia e i romanzi dei più promettenti scrittori under 30. Per lui, che amava la campagna e il buon vino, stare lì a farsi spaccare i timpani dalla musica house equivaleva a farsi stuprare da un branco di fox terrier.
Per sfangarla e tornare in albergo vivo (e a un orario decente), aveva scelto di mantenere un profilo basso. Salutare quei pochi che conosceva (per lo più qualche scrittore intravisto in giro per festival), farsi quattro chiacchiere con Uganda e il suo braccio destro, Paola Mainz, una biondina magra magra piena di tatuaggi di teschi, e poi via, filarsela. Dormire quelle tre, quattro ore prima di prendere il treno per Milano e tornare a casa. Finalmente.
Proprio mentre era convinto di riuscire ad attuare il suo piano diabolico, si sentì ticchettare a una spalla. D’istinto, si voltò. E proprio nell’attimo in cui realizzò che tutto doveva fare a quella festa, fuorché dare retta all’istinto, si trovò di fronte Ermanno Cigno. Quel grande testa di merda, di Ermanno Cigno.
«Ciao Rotella! Anche tu qui, what a pleasure!» gli strillò nell’orecchio arpionandosi alla giacca.
Rotella sorrise, alzando un po’ le sopracciglia come a dire “già, visto che roba?”.
Ermanno Cigno era l’autore di un romanzo che aveva venduto un milione di copie nell’ultimo biennio, “La bugia della carpa”, di cui la Fandango aveva anche preso i diritti cinematografici, affidando il progetto a Garrone per il suo nuovo film, che si annunciava un capolavoro. Cigno aveva più o meno la stessa età di Rotella, ma sembrava un professore cinquantenne di uno sfigato ateneo abruzzese. La giacca di velluto marrò con le toppe ai gomiti e la forfora a macularne le spalline imbottite. Il viso rotondo come un centrotavola, la barba che quasi gli mangiava gli occhi e un naso tuberiforme che lo faceva assomigliare tantissimo al paziente de L’Allegro Chirurgo. Una panza enorme stretta nella Lacoste blu notte che faceva a capate con un jeans nero e le polacchine scamosciate beige. Ma soprattutto: un alito di cerbiatto ammazzato da un serial killer di cerbiatti e poi smembrato e conservato al caldo in uno stanzino d’estate. Roba che non potevi stargli accanto per più di venti secondi senza rischiare di contrarre un tumore alle vie respiratorie. Rotella non aveva mai capito perché, ma da quando lo aveva conosciuto alla premiazione del Premio Strega, un paio d’anni prima, quel tale insopportabile lo aveva preso talmente tanto in simpatia da incatenarglisi ai coglioni per ore tutte le volte che lo incontrava.
«Sei qui per il nuovo romanzo, right?»
«Sì sì, oggi l’abbiamo presentato al Salone»
«C’era gente?» l’alito di Cigno stava cominciando a far male.
«Sì, la sala era piena…»
«Fuck! Non sono potuto passare perché ero allo stand della Picozzi per il firma copie! Ma lo presenterai dalle mie parti, vicino Giandonnaio Superiore?»
«Non saprei, dovrei chiedere all’ufficio stampa…»
«Se passi, mi raccomando, squilla!»
Proprio quando Rotella pensava di essersi salvato, Cigno attaccò una pippa sullo scarso impegno profuso dal suo ufficio stampa, che non gli aveva preso più l’Auditorium a Roma per l’anteprima del suo nuovo libro, in uscita il mese successivo.
«’No schifo, guarda!» aveva quasi urlato, riuscendo a superare la musica house che il dj mitragliava senza tregua.
«Ti capisco, Ermanno» Rotella, che intanto respirava solo dalla bocca, ebbe un’idea «Scusa, c’è Manlio che mi sta chiamando al cellulare, forse mi deve dire qualcosa di importante. Ci becchiamo in giro, occhei?»
«Claro que sì, amigo. Stammi bene» e gli stampò due baci sulle guance.
Alla velocità della salamandra che capta il pericolo della morte, Rotella si lasciò alle spalle quel sociopatico con l’acetone e si fiondò nel grande cortile della villa, dove c’erano meno caos e, soprattutto, meno decibel molesti. Diede un’ultima sorsata al cocktail, ormai diventato un brodo, e fece un lungo respiro.
Quanto cazzo si sentiva fuori luogo in quel posto. Quanto cazzo era ingiusta la vita; lui che voleva fare lo scrittore, come Moravia, come Pasolini, come Piero Chiara, per vendere cinquemila copie in più doveva farsi spaccare le palle e i timpani a una festa del cazzo. Lui voleva fare lo scrittore, non il frontman di una boyband. Quando questi pensieri ebbero definitivamente preso forma nella sua testa, la forma di un cazzotto da stampare al suo agente in pieno volto, sentì una voce da lontano che lo chiamava, una voce di donna.
«Roberto! Roberto Rotella!»
Roberto Rotella si voltò, ancora.
Due ragazzette, una con un piercing al naso e un altro al labbro, e l’altra con una fascia enorme a pois tra i capelli, si fiondarono a pochissimi centimetri da lui. Lo scrittore sobbalzò.
«Ma sei davvero tu? Cioè, incredibile, cioè fantastico, cioè io ho letto tutti i tuoi libri!» sparava a raffica quella coi piercing.
«Cioè, davvero pure io, cioè io in realtà solo l’ultimo, me l’ha prestato Betta, che è lei, io sono Chiara, piacere, dicevo l’ultimo… come si chiama… La mano di… La mano di…» questa era quella con i pois.
La mano di palle, avrebbe voluto suggerirle lui, ma ingoiò l’incazzatura e sospirò: «La mano di Elsa»
«De Elsa, sì! Bravo! Che memoria!»
«L’ho scritto io…»
Le due sbottarono in una risata dolby surround.
«Che tagliooo! Sei pure simpatico ‘na cifra, non lo avrei mai detto dopo averti visto da Fazio!» questa era di nuovo quella coi piercing «Comunque ce faresti un autografo?»
«Certo, ma… dove?» Rotella gli avrebbe firmato anche un assegno in bianco pur di togliersele dai coglioni alla svelta.
«Qua qua» fece quella dei pois porgendogli una penna e gli inviti della festa: due cartoncini bianchi con il nome del dj (DJ Pedrone) in rosa, il logo della Biblios, e l’immagine a cartoon di una cubista con le tette di fuori e un serpente che le usciva dalla figa: “Peccato, originale”, era scritto in basso, più in grande, con lo stesso font e colore del nome del dj.
Roberto Rotella fece due scarabocchi veloci e li porse alle ragazze. Intanto, la palpebra destra prese a tremolargli con forza. Era riuscito a guarire da quel fastidioso problema di fascicolazioni dopo sei mesi di cure, nei quali si era sottoposto a qualsiasi rimedio, agopuntura inclusa. E adesso era ritornato. Merda.
«Grazie Rotè, sei ‘n grande comunque, prenderemo tutti i libri tuoi!»
Ed evaporarono saltellando verso il ventre caldo della festa.
La palpebra, intanto, pulsava impazzita. Lo stomaco gli si chiuse in una morsa. Doveva vomitare. Subito. Corse verso un cespuglio più in disparte e fece per chinarsi. All’improvviso un ragazzo sbucò fuori e puntò dritto verso di lui.
«Sei Maurino Vinciguerra, vero?»
Rotella represse il conato. «No, mi chiamo Roberto, ti stai sbagliando»
«Ma come, non sei Vinciguerra? L’autore di Urli e vendette? Dài, sei tu»
«No, ti dico, davvero»
E ora chi cazzo era questo invasato? Ma un autore di romanzi non poteva nemmeno vomitare in pace?
«No, sei tu, ne sono sicuro» il ragazzo gli si avvicinò, abbassò il tono della voce «Non lo dico a nessuno che stai qua, tranchilo» e fece il gesto di cucirsi le labbra «Però, in cambio ti devo chiedere una cortesia»
«Amico, io non so come dirtelo ma io non son…»
«Tu devi leggere il mio manoscritto, è a metà tra un saggio e un romanzo storico ambientato nel Madagascar occidentale» il ragazzo lo interruppe, porgendogli delle pagine piene di parole «L’ho spedito a trentasette editori, non mi ha risposto nessuno, ma tu magari una mano me la puoi dare. Leggilo, se ti piace mi scrivi, c’è anche la mia mail, il mio telefono, tutto»
Roberto Rotella riuscì solo a sfogliare qualche pagina e spalancare la bocca per dire qualcosa, ma non sapeva più cosa dire.
«Ecco, già ti piace, lo sento. Dài, ti lascio vomitare in pace. Mi raccomando, e grazie duemila».
Quando rimase solo, un getto di vomito verde e giallo (la vodka al kiwi, infamissima) gli partì dalla bocca come un geyser.
Dopo aver espulso il demone, Rotella si pulì la bocca con la manica della giacca. L’occhio pulsava impazzito, come il cuore, come i coglioni. Adesso era troppo. Lanciò un’occhiata al manoscritto, dal titolo “Genesi dell’angolo retto”, e poi ne lanciò un’altra verso la festa, dove il casino era ancora più apocalittico di prima.
Non disse niente: sapeva benissimo cosa doveva fare.
Quando le forze dell’ordine lo trascinarono fuori, Roberto Rotella aveva la camicia bianca completamente ricoperta di sangue. Brandelli grigi e bianchi gli erano rimasti appiccicati al viso e al collo, probabilmente pezzi di cervelli, cartilagini e terminazioni nervose. Un carabiniere seguiva a ruota i due che lo trascinavano verso la volante, in mano stringeva l’arma del delitto, sigillata in una busta di plastica trasparente. Una risma di fogli rilegati da una cortina di ferro, al quale c’era ancora attaccato un bulbo oculare dello scrittore Ermanno Cigno, il primo su cui la furia omicida del Rotella si era scagliata.
Era riusciti a farne fuori ventisette in poco più di cinque minuti con “Genesi dell’angolo retto”. Tra i ventisette anche il suo agente, Manlio Uganda. Rotella glielo aveva detto: queste feste lo rendevano nervoso.
E poi, erano una noia. Mortale.
L'autore di questo racconto...
- Ha più di quarant'anni (31%, 5 Votes)
- Ha meno di quarant'anni (69%, 11 Votes)
- È un uomo (81%, 13 Votes)
- È una donna (19%, 3 Votes)
Total Voters: 16
Questa settimana i lettori non hanno avuto dubbi:
L’81% pensa che l’autore sia un uomo (contro il 19% che pensa il contrario)
Il 69% pensa che l’autore abbia meno di quarant’anni (contro il 31% che pensa ne abbia di meno)
L’autore di questo racconto È UN UOMO e HA MENO DI QUARANT’ANNI
L’autore di questo racconto è…
Marco Marsullo è nato a Napoli nel 1985. Con Einaudi Stile Libero ha pubblicato tre romanzi: Atletico Minaccia Football Club (2013), L’audace colpo dei quattro di Rete Maria che sfuggirono alle Miserabili Monache (2014), I miei genitori non hanno figli (2015). Ne ha pubblicati altri due, di libri. Uno con Laterza, nel 2014, Dio si è fermato a Buenos Aires, e uno nel 2016, con Rizzoli: Il tassista di Maradona. Nel settembre 2017 uscirà il suo nuovo romanzo, ancora per Einaudi Stile Libero.