In ogni relazione, c’è sempre un momento in cui una dice all’altro: “Non fare il passivo aggressivo” e l’altro risponde: “Non sto facendo il passivo aggressivo”. I passivi aggressivi sono come i narcisisti: ormai dappertutto, soprattutto sui social. Quando una definizione viene abusata, improvvisamente nascono nuove categorie umane rendendo più facile dividere i buoni dai cattivi, e ci mettiamo l’anima in pace.
Ma in ogni buona relazione, a ogni passivo aggressivo corrisponde un (c)attivo aggressivo, e non è detto che quella forma di aggressività sia radicata dalla nascita, sebbene l’attitudine personale abbia un proprio considerevole peso. In ogni storia d’amore non ci sono mai solo due persone, ma minimo tre e la terza non è l’amante, ma la relazione stessa. È il rapporto a risvegliare certi sentimenti e pulsioni, e se nella relazione precedente eri una madonna da dolce stilnovo o un cavalier servente, in questa nuova potresti trasformarti in una virago o in uno spudorato malfattore.
In “Scene da un matrimonio”, remake del cult di Bergman, interpretato da due per cui perderesti facilmente la testa e lasceresti il partner, c’è un momento in cui Oscar Isaac aka Jonathan dice a Jessica Chastain aka Mira: “Non sto facendo il passivo aggressivo”, e lei: “Sì, stai facendo il passivo aggressivo”. E noi, che li guardiamo un po’ innamorati, ci sentiamo parecchio a disagio perché ci ricordano tutte quelle serate a discutere senza trovare una soluzione davanti a bicchieri di vino, coperte arrotolate e capelli in disordine, facce sfatte dal pianto. Ci sono delle storie che, finita l’emozione e finito soprattutto il sesso, si nutrono solo di parole. A quel punto discutere, analizzare, squarciare, dissezionare, diventa vitale per mantenere viva la relazione. È una cosa da nevrotici, è una cosa che fa bene perché fa male ed è una cosa che, una volta terminata perché si tronca il rapporto, ti dà un senso di libertà e di pace di rara bellezza, come quando si sente il rumore della cappa da intere ore e tutti in casa si chiedono “Che sarà mai questo fracasso?” e quando viene spenta tutti tirano un sospiro di sollievo e capiscono da dove arrivava il frastuono.
Chi non ha amato questa serie che è bellissima per fotografia e scrittura ed estrema bravura dei protagonisti, non l’ha fatto per la stessa ragione per cui non si ama la fine di un amore: troppa psicanalisi, troppa testa, questi due non fanno che parlare chiusi in casa e danno l’impressione di volerlo fare per sempre. Perché sono drogati ormai di parole, perché si conoscono così bene che non possono fare altro che andare nel fondo più nero di ciò che conoscono e ne rimangono impantanati, per sempre fermi nella loro illusione d’amore. Bisogna, inoltre, prendere la serie per il dramma borghese che è, senza pretendere che a un certo punto si mettano a discutere di quella volta che non sono riusciti a pagare la bolletta della luce, perché quello a cui assistiamo è un documentario, scientifico e anzi biologico, sull’amore. È un’intenzione molto chiara da una delle poche trovate di regia quando, prima di essere Mira, Jessica Chestain è l’attrice dietro le quinte che avanza verso la scena con il cappuccino fumante in mano. Ma è anche un chiarissimo invito a vedere una relazione come il set di due persone che, in fin dei conti, non sono altro che attori e chi sono veramente lo scopriranno solo vivendo, possibilmente prima insieme e poi in forma separata. Quello a cui gli uomini e le donne mai si abitueranno (e chi lo fa festeggia le nozze di diamante) è che la persona che ti sposi non è la stessa con cui vivrai nel corso degli anni, ma sempre sarà diversa e sempre dovrai conoscerla, non solo nell’animo, ma anche fisicamente. E ancora, la persona da cui ti separerai è ancora un’altra rispetto a quella che fino al giorno prima divideva il talamo con te, e non è detto che di questa nuova tu non possa innamorarti o esserne solo attratto sessualmente o detestarla per il resto dei tuoi giorni. Siamo di fronte al fatto immutabile che tutti mutiamo e questo ci devasta, perché vorremmo essere per sempre gli stessi che sono stati capaci di attrarre a sé quegli occhi adoranti e quelle parole d’amore e vorremmo per sempre guardare alla persona di cui ci siamo innamorati come l’essere divino che è sceso sulla terra per unirsi a noi. Ma siamo molta carne e molte lacrime e da questo impasto può nascere quella cosa miracolosa che è la tenerezza e che tiene in vita l’amore.