Sono al Despar con mia madre, è agosto, il mese in cui più di tutti mio padre teme di ammalarsi e quindi che mi ammali anche io. Perché gli sbalzi di temperatura sono assassini, dice, anche se è il 1990 e l’aria condizionata non è ovunque e men che meno a Catania e men che meno a Gravina di Catania. Ma al supermercato ci sono i frigoriferi, i freezer, dove avvicinarmi è vietato. Altra cosa vietata sono i salumi, la cioccolata, la panna (quella che si mette sopra il gelato e quella che certe donne -non mia madre, usano per condire la pasta), perché secondo lui mi rovinano lo stomaco e ancora di più me lo rovinano in estate. Dice così. Allora io sfilo davanti ai reparti di salumeria e di dolci con gli occhi chiusi, non voglio vedere perché se poi vedo desidero e se desidero ho e se ho disubbidisco a mio padre e lui è buono e mi fa molta pena quando gli occhi si piegano come una chiesetta di campagna tutte le volte che faccio qualcosa che mi aveva detto di non fare. E quindi non lo faccio. 

Ma oggi è diverso, perché oggi voglio la cioccolata che sta accanto alla cassa. Se mio padre non sa che l’ho mangiata, allora non l’ho fatto. Se nessuno conosce il mio peccato, allora non ho peccato. Mentre mia madre sposta la spesa dal carrello al nastro io guardo quella cioccolata, Ferrero Rocher; nella pubblicità c’è questa signora bionda molto elegante che informa Ambrogio, il suo autista, di avere un certo languorino. A Catania da un po’ di tempo gira un video doppiato di quella pubblicità, dove l’autista risponde alla signora una cosa molto volgare che a me non è consentito ascoltare. Sento mia madre e mio padre ridere quanto la ascoltano e vorrei sapere anche io cosa risponde Ambrogio, ma so che dovrò prima diventare grande. 

Anche io vorrei un autista, penso, ma voglio molto di più la cioccolata. Se penso a quella parola della pubblicità, languorino, sento una cosa che mi accarezza il palato e scende fino al cuore e lo inonda di amore. E come si fa a resistere all’amore? Con che coraggio gli si chiede di starti lontano? Mentre mia madre è ancora impegnata a sistemare la spesa nelle buste, prendo una scatola da tre di Ferrero Rocher, la infilo con dignità dentro la canotta bianca facendo attenzione a non essere spiata da nessuno. Ma sono agile e soprattutto molto bassa: nessuno si accorge di me se non parlo e per fortuna parlo molto poco. Nemmeno quando usciamo dal supermercato e io non ho due, bensì tre tette sul petto nonostante i miei cinque anni, mia madre né nessun altro si accorge di questo prodigio. Starei già in camera mia a scartare i Ferrero Rocher e sentire quel languorino scivolarmi in gola se all’improvviso una macchina non ci tagliasse la strada. Vedo mia madre correre con le buste in mano dietro la vettura, che si arresta violentemente facendo friggere l’asfalto. Dentro ci sono due donne molto sudate, anche mia madre è molto sudata. Con occhi spiritati insulta le due donne e infila una mano dentro il finestrino e strappa la camicia a fiori della signora, che urla. Il caldo è abominevole e ho voglia di svenire, ma resto ferma dove sono, pietrificata. Le donne scendono dalla macchina, succedono cose che i miei occhi non vedono perché se ne stanno chiusi, come quando sfilano davanti alla mortadella, allo speck, ai pan di stelle. Arrivano i carabinieri e anche diverse commesse del supermercato. Una di loro mi si avvicina e fa “Ma che hai fatto?” indicando la mia canotta bianca. 

Pensa sia sangue, pensa che mi sia ferita e invece sono i Ferrero Rocher sciolti dal caldo, tutta quella cioccolata perduta. Quel languorino sparso lì sul mio cuore. 

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Racconto letto alla libreria Giufà, via degli Aurunci 38

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