Non so chi fra voi lettori e voi lettrici di queste belle pagine fa lo stesso gioco che faccio io: guardo le coppie, tutte le coppie, quelle che conosco e quelle che non conosco, e me le immagino a letto. Non è un esercizio che compio per erotici piaceri, né per quelli masochistici (che sono poi, a volte, la stessa cosa). Mi piace la forma che assumono i corpi nella mia testa e mi piace immaginare dove e come lo fanno, le coppie che vedo: su lenzuola stropicciate sporche di pan di gocciole? Di fretta, dentro un piccolo bagnetto? Lui sta sopra o preferisce stare sotto? Lei gode davvero o a volte si concede per compiacenza o per tenerezza? E quando accadono quelle esplosioni di eros, cosa fanno di diverso dal solito? Si guardano un porno? Invitano un amico, un’amica o un amic@? Il non saperlo è la mia dannazione. Dunque non posso che rendere grazie a Edoardo Albinati che con “La tua bocca è la mia religione” (Guanda) ci mette a parte dei suoi intimi segreti e ci fa vedere come lui e la bellissima, intelligentissima, compagna si accoppiano. Non assistiamo a un’esibizione, ma a un racconto di vita coniugale. E che cos’è la vita coniugale senza il sesso? È martirio e tormento, dunque gioiamo dell’esistenza di un matrimonio pieno di sesso. Non poteva mancare chi si strappa i capelli: “Ma come? Ma che poco tatto nel raccontare il sesso con la signora!” “E la ex che penserà?” “Ma non si vergogna?”. No, non si vergogna. Dovrebbe vergognarsi chi vive da anni con la stessa persona detestandone la pelle al punto da non onorarla con baci e carezze. Non può esserci vergogna nella devozione del corpo dell’amato o dell’amata, che è quello che fa Albinati con il corpo di Francesca D’Aloja. Almeno con le parole, perché poi della loro vita coniugale ed erotica sappiamo proprio un bel niente. Ma a noi solo le parole vengono date e solo di quelle ci occupiamo, e le diamo per vere, perché la letteratura è sempre vera anche quando è finzione. Non partecipo dunque al coro di prefiche, ma mi unisco ai canti di gioia. 

Ma queste poesie sono belle, sono brutte? Arduo è il compito del recensore, da veri coraggiosi recensire poesie a meno che non sia tu stesso un poeta. Non voglio farlo, ma mi interessa ciò che gira intorno a questo libro, alle polemiche che ha scatenato e alla polvere che ha smosso dai vetusti scaffali pieni di volumi dove si preferisce celebrare la morte di eros. Non sono le prime poesie erotiche che leggiamo, per fortuna, ma sono fra le poche di cui conosciamo i protagonisti, i loro nomi, i loro volti. E se nel revenge porn c’è l’insolenza di distruggere la persona con la quale fino a un paio di giorni si è goduto insieme dei medesimi piaceri, nelle poesie erotiche di Albinati l’esibizione è la stessa ma con l’intenzione più rara e bella di costruire, intorno al corpo dell’amata, una fortezza a farvi da monumento e ornamento. Le intenzioni cambiano tutto, il modo in cui una donna sa portare addosso l’odore del sesso, come suonava quel cantante, è fondamentale per sancire la differenza fra chi fa del giudizio altrui il proprio tormento e chi il proprio divertimento. Non può esserci senso di colpa in chi non è colpevole di nulla e l’esibizionismo non è che un altro modo per affermare la propria presenza e, dopotutto, se non ti interessa esibirti ed esibire il mondo reale o di fantasia nel quale abiti, che scrittore o scrittrice sei? Scrivere non è che un portare all’esterno, è sempre un’attività che a che fare con la violenza, pure se dolce, alla forza che metti nella spinta. Una forma di aggressione che può di certo spaventare i docili, ma chi è avvezzo alla lettura e a lasciarsi schiaffeggiare, non c’è niente di meglio che ricevere un po’ di franchezza. 

Posted in Articoli I libri degli altriTagged
Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta