All’inizio di ogni puntata di questa serie diretta da Simon Otto e appena sbarcata su Netflix il narratore, che è un corvo, con voce molto teatrale chiede allo spettatore se ha l’età giusta per continuare nella visione. Più un espediente narrativo che un avvertimento, penso la prima volta. Perciò quando mio figlio di due anni gli risponde urlando di sì, io sono tranquilla e so che non c’è nulla da temere, anche perché l’area bambini della piattaforma non nasconde insidie. Come premessa posso dire che mio figlio non ha mai mostrato di avere paura di niente, le voci da mostro e le maschere demoniache gli fanno lo stesso effetto che gli farebbe guardare una mosca volare sopra un barattolo di miele, dall’età di un anno guarda Tin Tin senza fare una piega quando malfattori si azzuffano dentro vicoli lerci marsigliesi e le streghe di qualunque fattezza gli stanno molto simpatiche. Quando però la prima puntata inizia, mi rendo subito conto che qualcosa non va come dovrebbe andare. Ci sono Hansel e Gretel, non due poveri figli di contadini ma un fratellino e una sorellina nati da un re e da una regina che al minuto due tagliano la testa ai propri bambini e poi, per senso di colpa, gliela ricuciono. I due poveretti fuggono alla ricerca di una famiglia migliore e finiscono prima nelle grinfie della signora Baker, una fornaia che vuole cucinarli per mangiarseli, poi vengono accolti in una foresta dove se osano disturbare gli equilibri si trasformano in bestie assetate di sangue. Ci sono poi una coppia di inquietantissimi contadini, la luna che divora i bambini, uno spione misterioso, il diavolo in persona che vince Hansel ai dadi e un’altra serie di personaggi lugubri, malati, folli. Nulla sembra sconvolgere mio figlio, mentre io mi faccio sempre più piccola sul divano, fotogramma dopo fotogramma mi copro la faccia col cuscino e soffro in silenzio.

La visione è consigliata a un pubblico che abbia superato i dieci anni, però mi pare chiaro che quegli archetipi così crudelmente rappresentati non sfiorano minimamente un bambino di due anni che nella sua vita ha conosciuto solo la bontà della mamma e del babbo e non sospetta che le cose a volte possono andare molto peggio. Il terrore non nasce dalla sorpresa, ma dall’eccessiva comprensione e vicinanza a un modo di essere e di sentire. Più un fatto tragico risuona in te, risvegliando antichi timori e remoti ricordi e vecchi fantasmi, più ti farà accapponare la pelle. Il discorso naturalmente cambia quando la violenza rappresentata è di altro tipo, più fisica, più visibile, diretta. Se lasci l’area bambini e accedi a quella degli adulti trovi Squid Game, che in questi giorni sta infiammando le bacheche e le chat di genitori: è una serie adatta ai bambini? Sono pazzi i genitori che lo fanno vedere ai propri figli di otto, nove anni? Squid Game non lavora con gli archetipi, ma racconta la storia di un gruppo di povera gente che è pronta a farsi massacrare pur di abbandonare la condizione di assoluta miseria. Per struttura assomiglia moltissimo ai video game, dove tutto è scollato, distante, non avviene nel qui e nell’ora ma in un altrove in cui sai di non dover mettere mai piede (per fortuna). Che esistano bambini e bambine sveglissimi capaci di capire che Squid Game non è la vita e che quella violenza può esistere solo lì e non qui, non ho dubbi. Ma non è la norma. La violenza di In una notte buia e spaventosa è, per me, più agghiacciante perché va a toccare parti profondissime e smuove traumi insediati dentro di noi da decenni. Essere abbandonati, non amati, offesi e feriti a morte da coloro che ti assicurano di amarti e di accoglierti: è questo il paesaggio dentro cui si muovono i due protagonisti. Finché non hai sperimentato queste ferite, guardare questo cartone a puntate è possibile e anche divertente (alcune scene e battute sono esilaranti, intelligentissime, perfide). Ma se un poco capisci di cosa parla e se un poco ti ricordi di alcune lacrime, allora il terrore è assicurato, ed è per questa ragione che la serie è imperdibile e vale come cinque sedute dall’analista e sarà di grande aiuto anche ai bambini che impareranno che essere rifiutati è possibile e che il mondo, volendo, sa diventare un posto spaventoso e dunque Bing è un impostore.  

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