Tornata in libreria con il libro-inchiesta In Italia si chiama amore, Melissa P. parla di eros e sentimenti. E spiega perché ha voluto dirigere una rivista porno per donne.
Ha esordito nel 2003 con 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire, bestseller tradotto in più di trenta lingue che ha venduto più di due milioni di copie. A seguire due romanzi (L’odore del tuo respiro e Tre), una graphic novel (Vertigine, con Alice Pasquini) e il pamphlet In nome dell’amore. Da qualche mese, insieme ad altre scrittrici, giornaliste, registe, fotografe e artiste italiane, lavora a Dita, rivista pornografica fatta esclusivamente da donne, di cui sarà direttrice. Melissa P., al secolo Melissa Panarello, catanese del 1985, è appena tornata in libreria con un brillante libro inchiesta. Nato da una serie di articoli scritti per il settimanale Sette del Corriere della Sera, e arricchito da un’introduzione e alcuni capitoli inediti, il volume si chiama In Italia si chiama amore (Bompiani, pagg. 105, euro 13,50) e ha per protagonisti gli italiani e il sesso.
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Il titolo è preso in prestito da un vecchio film-inchiesta degli anni Sessanta. Girato da Virgilio Sabel con attori non professionisti, il film raccontava storie d’amore ispirate a fatti veri. In forma di libro, In Italia si chiama amore è sempre un’inchiesta, onesta e illuminata, firmata dall’autrice di 100 colpi di spazzola Melissa P., che in poco più di cento pagine racconta il sesso così com’è vissuto o soltanto percepito dagli italiani. Scrive l’autrice nella bella introduzione al libro: “Il sesso è la cartina di tornasole di una società”. E subito dopo: “Ma raccontare l’eros è complicato, sempre. E ancor più complicato è raccontarlo in un paese che, nonostante la facilità con cui riesce a esibire la propria sessualità, ha paura del sesso e prova a tenersi a debita distanza dal desiderio”. Partendo da questi presupposti, Melissa attraversa l’Italia in cerca di storie da raccontare, storie di sesso sì, ma anche sentimentali e di costume, che tanto dicono dell’Italia che abitiamo. Storie del Nord e del Sud Italia, che attraversano generazioni, appartenenza politica e provenienza sociale, a voler rendere omaggio all’inarrivabile Comizi d’amore di Pasolini che a rivederlo adesso non appare affatto lontano. Si scopre così, insieme a Melissa, che in Italia “regna un pudore sconsiderato” e “gli adolescenti sono molto più bigotti degli adulti”, che “non è un paese per donne”, che “a Catania ci si ama con gli occhi” mentre “a Roma il sesso è sedentario, non sperimenta”. E soprattutto che “il sesso non uccide”. Anzi.
Non ti sei stancata di scrivere di sesso in Italia? «Finché ci sarà ancora chi mi chiede perché scrivi ancora di sesso, sarà necessario continuare a parlare di sesso. Non è una domanda che fai a chi scrive di calcio o di economia, o a chi scrive thriller. Scrivo di sesso e penso sia fondamentale parlarne perché è una cosa che ti restituisce la cultura di un popolo e di ogni singola persona. Ciò detto, in questo libro sono io che osservo gli altri, sono spettatrice e non protagonista, e passare dall’altra parte della strada è stato un modo per chiudere il ciclo iniziato nel 2003 con 100 colpi».
Rispetto all’Italia del 2003, l’Italia che racconti in questo libro è diversa? «No, è sempre la stessa».
Tu come scrittrice sei cambiata? «Quello lo posso giudicare poco. Io mi sento cresciuta, anche se non mi sento ancora arrivata. So di avere ancora dei limiti, delle lacune, ma studio per colmarle».
A un certo punto del libro scrivi: “L’Italia ha paura del sesso”. Io mi sentirei di aggiungere, gli italiani più delle italiane. Sei d’accordo? «Sì, anche se un po’ è una paura dettata dal fatto che le italiane ultimamente forse ne parlano troppo. O meglio, è come se certe donne volessero sezionare il sesso, analizzarlo nei minimi dettagli, e questa è una cosa che agli uomini fa paura. La provocazione che faccio adesso con questo libro e che con altre scrittrici e giornaliste sto cercando di fare mettendo in piedi la rivista Dita, sta sì nel parlare di sesso, ma nel parlarne in termini anche emotivi. Se allontaniamo ogni forma di sentimento dalla sessualità, è chiaro che se ne ha paura».
Cosa ha segnato maggiormente la tua educazione sentimentale? «I pomeriggi dall’estetista con mia madre. Lei si faceva fare la ceretta e io mi mettevo ad aspettarla dentro la sauna con la porta aperta e ascoltavo lei e l’estetista che parlavano di sesso e di uomini. E lì mi succedeva che guardavo la pelle delle donne e pensavo: chissà com’è quella pelle che ha già fatto sesso, chissà se quella pelle può dirmi com’è il sesso. Mi aspettavo che la pelle mi potesse dare degli indizi sulla sessualità delle persone».
Sempre nel libro scrivi: “L’Italia non è un paese per donne”. A volere essere costruttivi, cosa si potrebbe proporre? «Intanto sarebbe bello avere un governo formato per metà da donne. E poi bisognerebbe smettere di pensare che le donne in Italia vanno avanti anche se non hanno talento. In alcuni casi è così, ma non è la regola».
Nel fare le inchieste ti sei accorta di differenze regionali o generazionali? «Generazionali paradossalmente molto poche, perché in Italia i giovani emulano i grandi, i grandi emulano i giovani, e i ruoli finiscono per coincidere. Le vere differenze sono quelle tra Nord e Sud: al Nord sono più bigotti, i settentrionali sono molto più attaccati all’idea di sesso come trasgressione, mentre al Sud c’è una sessualità molto più da strada, da parco, da piazza, è molto più umana e meno spersonalizzante».
Sicuramente il clima politico che abbiamo avuto in Italia negli ultimi anni ha condizionato la relazione che gli italiani hanno con il sesso. Secondo te quanto è avvenuto è irreversibile? «No, sono convinta che ci sarà un cambiamento, e molto in positivo. L’attuale governo della sobrietà ha di buono che l’italiano non diventerà mai sobrio, quantomeno non dopo vent’anni di esibizionismo pornografico, e finirà per trovare una più sana e auspicabile via di mezzo. Non che io ami le vie di mezzo, ma per il sesso credo sia fondamentale, laddove il sesso non è altro che un’unione tra corpo e cuore».