Solo i cartoni animati con un grandissimo plot possono diventare saghe e pochi sono quelli per cui vale la pena produrre sequel o prequel. Spesso i produttori si fanno ingolosire dai milioni e milioni di spettatori e spettatrici che hanno fatto la fortuna di quello o questo lungometraggio, senza però considerare che una buona trovata non potrà mai essere paragonata a un’idea. Per esempio, nessuno mette in dubbio l’ottima riuscita del primo Frozen, il cartone con più merchandising della storia, ma sul secondo ci sarebbe un bel po’ da ridire. La storia regge, ma è lo spirito iniziale che viene perso, perché quella di Frozen è una storia che vive grazie alla risoluzione che i suoi personaggi riescono a trovare rispetto a un problema o un avvenimento nefasto. Una volta che l’hai trovato, cos’altro vorresti raccontare? La forza si perde quando conosci gli schemi dentro i quali i protagonisti si muovono e le canzoni, dopo un po’, annoiano. 

Hotel Transylvania, invece, ha una base così solida che pure se dovessero produrre l’episodio 75, saremmo comunque contenti. È quello che è accaduto anche con Shrek, di cui non siamo mai sazi, il cui semplicissimo e rivoluzionario plot è: un orco salva una principessa e i due si innamorano. Basta così? Certo: le cose più sono semplici e più funzionano. 

HT ha quest’idea: un vampiro vedovo cresce da solo la propria figlia. Da qui, naturalmente, esplodono infinite implicazioni. Dracula, in originale doppiato da Adam Sandler con accento slavo e in Italia da Claudio Bisio, è il papà iper protettivo di Mavis, deliziosa vampiretta un po’ strabica, ideale di bellezza di qualsiasi emo-goth. Drak ce l’ha a morte con gli umani, a cui il mostro non ha mai dato la caccia, colpevoli di aver ucciso l’unico amore della sua vita, anzi l’unico zing, come quelli della sua specie chiamano il colpo di fulmine da cui nessuno può sottrarsi e che capita una sola volta nella vita. Mavis cresce spensierata in un castello tetro e divertentissimo, il padre è uno spasso e l’hotel che lui ha costruito per ospitare i mostri è un vero e proprio successo. Quella di Mavis è una famiglia formata dagli amici del padre, dei veri e propri fellows che ricordano le commedie più riuscite e pazze degli ultimi decenni, da Una notte da leoni a Anchorman. Si tratta di Wayne, un lupo mannaro dall’alito pestilenziale che con la dolce moglie Wanda ha circa un centinaio di figli che lo stressano come un moderno padre che deve barcamenarsi fra quarantene e tamponi; Murray, una mummia centenaria con velleità da talent show; Griffin, un uomo invisibile di cui si vedono solo gli occhiali a goccia e che per buona parte del secondo film finge di essere fidanzato a una donna invisibile (che non esiste, ma nessuno può dimostrarlo); Frankestein, brutalizzato dalla moglie Eunice, in originale doppiata da Fran Dresher, la mitica Tata italo-americana dell’omonima sit-com. Gli ingredienti per fare una commedia spettacolare ci sono tutti, ma i creativi aggiungono un altro elemento esplosivo che è il vero fulcro della storia: Johnny, uno sprovveduto, avventuroso ed entusiasta turista americano provvisto di backpack che arriva, non si sa come, al magico hotel. Dracula ostacola fin da principio il suo arrivo e finisce per travestirlo da mostro per camuffarlo agli occhi dei sanguinari ospiti, ma soprattutto agli occhi ingenui di Mavis, da sempre curiosa del fuori (come la Sirenetta) ma tenuta lontana dal mondo (ah i vecchi padri che non lasciavano uscire le figlie!). Johnny sta simpatico a tutti, ma soprattutto diventa caro a Mavis, con cui la ragazza fa zing (sembra una cosa erotica, e forse lo è). Drak non può permettere che questo accada, innanzitutto perché sua figlia non si tocca e se a toccarla è un umano allora sono guai serissimi. Ma sullo zing non si discute e alla fine anche il Conte Dracula è costretto a fare pace con l’idea che nulla è immutabile e che la felicità, quando arriva, non va persa. Hotel Transylvania 2 è, se possibile, ancora più divertente con l’arrivo di Dennis aka Denisovich, il tenero figlio di Mavis e Johnny che non si sa se diventerà vampiro o resterà umano e, come sempre accade in qualsiasi storia di finzione e non, scatena faide famigliari. È qualcosa che tutti conosciamo, a più livelli: le famiglie dei giovani genitori si contendono virtù, pregi, e persino difetti di un nuovo piccolo componente della famiglia, rispondendo a un impulso tutto primitivo, da clan. Un bambino deve appartenere a qualcuno, deve avere un sangue a cui fa riferimento, dei geni da cui si è prodotto ed è chiaro che le persone più dirette a lui sono il padre e la madre, ma i nonni non concordano: li vogliono simili a loro, proiettano sui bimbi proprie fragilità e propri vizi che non sono nemmeno connaturati, ma si sono calcificati negli anni e, strato dopo strato, hanno prodotto le persone che sono. Drak vorrebbe Denisovich così simile a lui che gli cambia persino nome, vorrebbe che avesse le zanne, che volasse (lo fa quasi spiaccicare al suolo lanciandolo da una torre per invogliare il bambino a volare, ma quello non vola), ma Denis è figlio di Mavis e di Johnny, che è un umano, ed è anche un po’ sciocco, e in quanto figlio di sciocco anche Denis mostra alcuni interessi sciocchi che fanno cadere le braccia ai mostri. Prima o poi il nonno deve fare i conti con il fatto che quel bambino è un essere vivente a sé, che saprà realizzarsi e persino emanciparsi solo se lasciato abbastanza libero di essere. 

In tutti i Transylvania c’è talmente tanto materiale psichico e umano da cui attingere, che se ne potrebbe parlare per giorni, anche perché gli episodi 3 e 4 (quest’ultimo uscito da pochissimo per Prime) sono fucine di idee e momenti esilaranti. 

Menzioni d’onore: il Fantasma dell’Opera totalmente inopportuno che suona con gravità ai banchetti, le stregheriere, gli zombie che fanno catcalling e le musiche allucinate su cui anche chi è abituato ad ascoltare madrigali è costretto a ballare davanti ai propri attoniti figli. 

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